Il corpo, a un certo punto, cambia discorso

Per anni ho pensato che bastasse adattarsi. Cambiare carichi, cambiare ritmi, cambiare modo di allenarmi. Fare attenzione a tutto.
A un certo punto ho capito che non stavo più crescendo.
Stavo solo cercando di restare dove ero.

La mia carriera è stata fatta di stop e ripartenze. Infortuni, problemi fisici, negli ultimi 10 anni non sono mai riuscita a costruire continuità.
Ogni volta è lo stesso schema: fermarmi, tornare, recuperare quello che ho perso. Tornare dove ero. Forse aggiungere un uno per cento. E poi ricominciare da capo.
Nel breve periodo può sembrare sostenibile. A distanza di anni, il conto arriva tutto insieme.

Il mio corpo è sempre stato in difesa.
Non perché non volesse collaborare, ma perché non ha mai davvero avuto il tempo di costruire. Allenarsi così significa chiedere a un corpo già stanco di fare ancora uno sforzo in più.

La miocardite è stata la botta finale. Non l’inizio del problema, ma il momento in cui tutto quello che avevo rimandato si è presentato insieme.
Ho rischiato di morire.
E da lì in poi il mio corpo ha iniziato a parlare un linguaggio diverso.
La mia testa chiede ancora quello a cui è abituata.
Il mio corpo, semplicemente, non riesce più a farlo.

Me ne accorgo soprattutto in gara.
Chi mi vede correre spesso non mi riconosce più. E non mi riconosco nemmeno io.
Mi capita di rispondere ridendo: “I used to be strong.”
Lo dico come fosse una battuta. Ma dentro fa male.

Perché la mia testa è ancora quella di sempre.
Ogni volta salgo in pista convinta di poter vincere. La sensazione è reale. È quella di sempre. Poi parto, e in pochi secondi la realtà mi prende a pugni.
Capisco subito che non è la giornata sbagliata.
È che il corpo non riesce più a portarmi dove la mia testa sa di poter andare.
E così mi ritrovo a vivere qualcosa che non avevo mai capito davvero. Correre sapendo che non puoi esserci. Continuare anche quando il risultato non arriva mai. Tornare a casa con la voglia di smettere tutto, non perché manca la voglia di lottare, ma perché manca la possibilità di farlo.

Più che non portarmi da nessuna parte, continuare così mi sta facendo soffrire mentre faccio la cosa che amo.

Il corpo, a un certo punto, cambia discorso.
E quando succede, puoi provare a non ascoltarlo. Ma se vuoi continuare a essere un’atleta, ignorarlo non è più un’opzione.

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